Attenti a quei popoli che brancolano nel buio

Mauro Caniggia Nicolotti • 14 maggio 2020
Attenti a quei popoli che brancolano nel buio

Lunedì prossimo verrà certamente ricordato Emile Chanoux (1906-1944).
Lo si fa ogni anno per rammentare quando fu trucidato dai nazifascisti quel 18 maggio 1944.
Ma il 18 maggio, il suo sacrificio e quello di tanti altri come lui, forse lo dovremmo onorare in silenzio. Caso mai, i suoi ideali andrebbero trasformati in fatti tutti gli altri giorni. Visioni, è bene rammentarlo, che poi si sono tradotte e plasmate in quell'autonomia ottenuta grazie a quegli uomini e a quelle donne che in Valle d’Aosta hanno combattuto per la libertà e per la democrazia.
Quello che bisognerebbe fare oggi, è di smetterla di celebrarlo come siamo abituati da sempre. Cioè solo dal tavolo di presidenza di qualche conferenza o con qualche bella frase ad effetto (come peraltro userò anche io qui...) infilata nei discorsi ufficiali, nella circostanza. Insomma, quella retorica che, per dieci minuti all’anno, strappiamo alla naftalina di quel cassetto d’armadio che apriamo solo in certe occasioni.
Ma per dire cosa poi? Usiamo oramai poche frasi di Chanoux (e sempre quelle), quasi “da catalogo” e lo facciamo tanto per... E rischiamo, infine ed anche, di decontestualizzarle, di confonderci e di confondere.
Per esempio, la sua frase più conosciuta - quella cioè dei “piccoli popoli fatti per illuminare il mondo”(1), che campeggia in Consiglio Regionale e che è un richiamo al federalismo elvetico - risulta un po' opinabile oggi. Se la traslassimo per esempio su di noi, ci sarebbe da chiedersi, allora, cosa stiamo facendo di concreto per onorare quel principio. Non credo che abbiamo mai illuminato il mondo portando una qualche verità: nessuna comunità, dopotutto, può oggigiorno arrogarsi tale pretesa, e ciò malgrado in tanti - e trasversalmente in tutto il mondo - nutriamo il desiderio di vivere in un pianeta migliore.
La domanda diretta, invece, da fare a noi stessi - quindi, già di per sé impegnativa quanto basta - è: cosa si sta facendo per la nostra comunità? Come usiamo quell'Autonomia statutaria che Chanoux e altri ci hanno consegnato?

Nel frattempo, se devo anche io togliere dal mio cassetto una frase per ricordarlo, di Chanoux andrei a scovare quel passaggio che recita: Le valdôtain deviendra incapable de penser, d’avoir sa mentalité à lui, son idéal à lui; il riferimento che faceva lui all'epoca era rivolto ai valdostani i quali correvano il rischio di seguire il solo “termometro” dello Stato e non quello della comunità. Contestualizzandola oggi, quella frase potrebbe voler indurre a domandarci “chi siamo” (o "cosa vorremmo essere"), “cosa vogliamo" e come dovremmo procedere per soddisfare tali quesiti e detti bisogni.
La Valle d’Aosta, è noto, è immersa in tanti di quei problemi che non si sono creati solo ad opera di una certa “nazionalizzazione-statalizzazione”, come vedeva Chanoux quasi 80 anni fa. Noi oggi, non possiamo imputare le nostre sofferenze solo ed esclusivamente allo Stato - per quanto esso stia da tempo affogando, e con lui la nomenklatura europea, nell’incapacità di certa politica -, ma anche a chi ha permesso alla Valle d’Aosta di sprofondare in una dolorosa, quanto pericolosa, crisi d’identità, lasciando ampio campo e partita ai soli personalismi della politica; tralascio qui altre gravi problematiche che ci hanno lacerato in ben altri ambiti....
Saranno tempi duri per ritrovare quella fiaccola (il flambeau cantato da Chanoux). Luce che non servirà affatto a illuminare il mondo per portare qualche testimonianza particolare, ma al momento almeno per ritrovare - o trovare finalmente - il nostro cammino per andare avanti; la nostra verità.
Riprendiamoci anche il pensiero di Chanoux, uomo che da sempre abbiamo stranamente chiamato "martire dell'Autonomia". Ma che fu sempre e solo martire della Causa valdostana. Ben più alta, quest'ultima, della pur lodevole e necessaria autonomia concessaci; Autonomia che non è un fine, bensì un mezzo. Fu egli portatore, vertice, di un pensiero, di una storia, di una collettività, di un modo di fare di una comunità, di un comune sentire. E se non siamo più avvezzi per tanti motivi ad usare il termine "popolo", quest'ultimo chiamiamolo âme du Pays, animo, spirito à nous, senso di comunità.
E', infatti, quest'ultima condizione che oggi dobbiamo ritrovare, ricostruire: essere una comunità e non solamente gente che abita la Valle d'Aosta. Altrimenti restiamo in questo pantano indefinito.
Dunque, voir clair, vouloir vivre, come diceva - per l'appunto - Chanoux.
Richiamiamoci ad essere... e, finalmente, essere.

Mauro Caniggia Nicolotti

(1) Il y a des peuples qui sont comme des flambeaux, ils sont fait pour éclairer le monde ; en général ils ne sont pas de grands peuples par le nombre, ils le sont parce qu’ils portent en eux la vérité et l’avenir.