Buon 50 aprile dal governo Conte

Luca Poggianti • 20 maggio 2020
30 giorni a novembre, con giugno e settembre,
di 28, di 11 e di 50 ce n’è uno, tutti gli altri ne han 31.

Così dovrà essere modificata la nota filastrocca in uso per ricordare il numero dei giorni dei vari mesi, visto che il governo Conte da quest’anno sembra aver deciso che aprile passa ufficialmente a 50 giorni mentre maggio scende a 11.

Ora ci manca solo di metterla in musica, per meglio celebrare la tanto attesa pubblicazione del famigerato decreto-aprile che secondo i soliti impazienti detrattori del Governo sembrava essere diventato decreto-maggio…
Invece no! Bastava aspettare quest’ultimo agognato giorno di aprile, il 50 appunto, per vedere finalmente realizzato il sogno di ogni italiano: poter finalmente toccare con mano quanto annunciato come prontissimo e definitivo ben 5 giorni fa.
Già, perché, per chi non se ne fosse accorto, sono trascorse ben 120 ore dall’annuncio al parto.

Facendoci seri, la mia non vuole essere una critica nel merito dei contenuti del famigerato “decreto-rilancio”; non è questa la sede e ci vorrebbero pagine e pagine per chiarire le migliaia di regole e regoline contenute in questo provvedimento-monstre di "soli" 266 articoli.
Quello che, invece, considero un ennesimo episodio gravissimo di questo governo dell’annuncio a favor di telecamera è che ci siano voluti ben 5 giorni dalla la conferenza stampa di presentazione di un provvedimento così atteso e fondamentale per la sopravvivenza di tante persone e di tante aziende per arrivare ad elaborare il testo definitivo (che evidentemente ha cambiato mille volte versione) e a pubblicarlo sulla Gazzetta Ufficiale, un passo non secondario - è bene ricordarlo - neppure nell'Italia delle libertà sospese di questi mesi...

E’ come se un futuro padre andasse in giro felice a stappare lo spumante e ad annunciare la nascita del figlio 5 giorni prima del parto…

Che bisogno c’era di andare davanti alla stampa giovedì scorso? Tanto ormai il mese di aprile era finito da un po’, beninteso secondo il vecchio calendario in uso fino al 2019. Bastava quindi aspettare di mettere a punto il tutto e presentare all’Italia il provvedimento una volta che fosse stato pronto nella versione definitiva.

Tutto ciò è gravissimo innanzitutto dal punto di vista della serietà istituzionale, perché non si annuncia alla stampa (senza peraltro fornire nulla di scritto di quello che si decanta) quello che nemmeno i rappresentanti del tuo governo possono leggere nella stesura definitiva. Anzi, siccome il decreto-legge è un atto del governo nella sua interezza, cosa hanno approvato giovedì? La classica bozza “salvo-intese”, che tradotto vuol dire approvazione ad minchiam?
Ma è un comportamento gravissimo anche perché evidentemente l'avvocato Conte non ha la minima idea di quali fenomeni si scatenino in questo indecente lasso di tempo tra il momento dell’annuncio e la pubblicazione del testo definitivo, soprattutto in un’era veloce e di accesso di massa alle notizie come questa di internet e di capillare diffusione dei social network.
Ipotesi, illazioni, speranze, delusioni, certezze dei signori “sotuttoio” ecc. che destabilizzano tutti. E che danno il là a spiegazioni dettagliate su come funzionerà la tal misura piuttosto che l’altra, anche se in realtà nessuno ha la certezza su quale sarà la veste definitiva della regola.

L’unico risultato certo di questo comportamento poco attento alla correttezza dei percorsi istituzionali - che pare abbia infastidito non poco anche il Quirinale - è quello di alimentare ulteriore confusione.

Gli operatori professionali che dovranno maneggiare quelle norme (la cui unica caratteristica certa è la complicazione, su questo potremmo scommettere senza leggere nemmeno una riga…) cominciano a formarsi delle certezze sul nulla. E’ come costruire una casa sulla sabbia. E’ difficilissimo lavorare in questa maniera e ci si sente veramente presi in giro! Anche perché nel frattempo ci si aggiorna sulla stampa specializzata, costretta anch’essa a fornire spiegazioni senza avere la certezza che le bozze consultate non vengano poi modificate. E con il tempo, poi, qualsiasi adempimento risulta più difficile, perché si ha la costante sgradevole senzazione di incertezza sulla correttezza delle informazioni apprese.

Quello che da professionisti e cittadini chiediamo, quindi, è ben poca cosa. Meno telecamere, meno annunci, meno conferenze stampa inutili; più fatti, più concretezza, più rispetto e quindi più buon senso.

In questa complicatissima fase economica e sociale nessuno sente il bisogno di assistere ad ulteriori Conte’s show made in Casalino, ma chiediamo solamente più serietà e più rispetto. E’ pretendere troppo?

Luca Poggianti