La nuova Europa che non nascerà
Mauro Caniggia Nicolotti • 10 aprile 2020
La nuova Europa che non nascerà
- Mauro Caniggia Nicolotti
In molti hanno riposto sogni e speranze in una Europa unita; e dall’ultimo dopoguerra, l'attuale progetto continentale comunitario sembrava effettivamente prendere forma e assumere una certa consapevolezza.
Ma, poi, non è stato così. Qualcosa è mutato. Certe élites, tanti egoismi e molti interessi di parte hanno preso il sopravvento e hanno trasformato una grande e bella opportunità socio-politica, culturale ed economica in una macchina burocratico-farraginosa e scevra sia di ogni spinta ideale, sia di un grande progetto per il futuro.
Oggi in tanti divinano la fine dell’attuale Unione Europea. Un consesso che, appunto, ha fallito in tanti campi, in ultimo quello di non essere riuscito ad affrontare la crisi sanitaria (ed economica) provocata dal coronavirus.
Forse ci troviamo veramente in uno di quei tanti momenti di passaggio in cui potrebbero cambiare le cose. Forse.
Certamente, non si può non notare come abbiano fallito i vecchi e grandi Stati nazionali, nati soprattutto dall’Ottocento, incentrati sulle loro politiche e logiche datate.
Leopold Kohr (1909-1994), politologo statunitense, (1) asseriva come Stati di limitate dimensioni potessero rispondere meglio per affrontare le sfide sociali rispetto a quelli grandi. Un equilibrio tra grandezze avrebbe evitato predominio, ruoli-guida e supremazie. Pertanto, lo smembramento delle grandi potenze, qualunque significato possa avere, lungi dal conferire all’Europa un assetto artificioso, segnerebbe il ritorno alla sua naturale conformazione. Ma tutto ciò non risolve ancora il nostro fondamentale problema il quale si pone in questi termini: un’Europa siffatta, sarebbe più pacifica? (...) La risposta è senz’altro affermativa. Questo è il secondo punto che emerge dalla semplice considerazione dei piccoli Stati (...). Quasi tutte le guerre sono state combattute in nome dell’unificazione, e l’unificazione è stata sempre dipinta come una pacificazione. Sicché si arriva al paradosso che quasi tutte le guerre sono state combattute in nome dell’unità e della pace, il che significa che, se non fossimo stati unionisti e pacifisti tanto accaniti, avremmo potuto evitare un buon numero di conflitti. (2)
Affermazioni che inducono a più di una riflessione e che francamente sono difficilmente contestabili.
Ancora più interessante è il ragionamento di Kohr sulle minoranze, da porre in stretta correlazione con le problematiche delle zone di confine e di eventuali irredentismi mai sopiti.
Egli sosteneva, appunto, che il ristabilimento della sovranità dei piccoli Stati, non soltanto soddisferebbe il loro desiderio, mai sopito, di riacquistare la propria indipendenza, ma eliminerebbe, come per incanto, la causa della maggior parte delle guerre. Sempre in riferimento al problema delle zone di frontiera che sono oggetto di contesa, un’Europa di piccoli Stati porterebbe alla eliminazione automatica di un’altra causa di conflitto: la questione delle “minoranze”. Siccome da un punto di vista politico non esistono limiti alle dimensioni di uno Stato sovrano, ogni minoranza, per quanto piccola sia e qualunque sia il fondamento del suo desiderio di autonomia, potrebbe diventare padrona della sua terra, parlare la sua lingua come e quando le pare, ed essere felice a suo modo. (...) (3)
In conclusione, da fervente sostenitore del federalismo europeo quale sono, spero anche io che alla fine del dramma che stiamo vivendo si inneschi un processo di cambiamento vero, migliore, per l’Europa. Qualcosa che possa prima o poi mettere in archivio questa vecchia nomenklatura continentale incentrata solo sul potere di pochi e sull’interesse di alcuni gruppi. Un altro progetto che riesca un giorno a condurci verso una vera unione continentale, solidale e strategica. Una Unione formata da nuove, diverse e piccole Comunità e Territori operanti per il benessere collettivo; quella dei “piccoli”, appunto: solidale, concreta e strategica e che sappia veramente creare unità, confronto e benessere.
Ma questo, probabilmente, non avverrà; almeno per ora. Per giungere a questo o ad altri schemi di federalismo europeo, bisogna prima costruire un nuovo pensiero strategico comune in tal senso. Qualcosa che porti alla riflessione, al dibattito, alla progettazione, al confronto democratico. Soprattutto, che ciò avvenga anche intorno ad una nuova élite politica e non certo controllato da una qualche intellighènzia. Una nuova classe politica che di tutto ciò faccia tesoro e che sia propugnatrice di un corso diverso; altrimenti si continuerà con i soliti metodi ormai superati e inefficaci di vecchi equilibrismi.
(1) Da questo punto e fino alla nota 3 i passaggi sono tratti dal mio nuovo libro e di Luca Poggianti, Il teorema di Davide. Ha senso una Valle d’Aosta indipendente? (2020). (2) L. Kohr, Il crollo delle nazioni, p. 81. (3) L. Kohr, Il crollo delle nazioni, pp. 82-83.